Seminario di approfondimento sulla L. Regionale 24/2001 “DISCIPLINA GENERALE DELL’INTERVENTO PUBBLICO NEL SETTORE ABITATIVO”

Osservazioni, rifflessioni e proposte.
(Castrocarro Terme 17 Marzo 2005)


Sono passati quasi quattro anni anni dalla riforma regionale dell’ERP (L.24/2001): è possibile fare un primo bilancio ?




Ricordiamo quali erano gli obiettivi della riforma: A) bloccare la svendita del patrimonio immobiliare pubblico, B) garantire una maggiore redditività delle case popolari ed il suo autofinanziamento, mediante i proventi dei canoni di locazione, C) separare la titolarità della proprietà del patrimonio immobiliare pubblico dalla gestione, con il trasferimento degli alloggi ai Comuni e contestualmente trasformare gli IACP in ACER, Enti Pubblici Economici, D) rilanciare la politica abitativa destinata alla locazione permanente.

Sul primo punto la nuova normativa pone fine alla storica svendita del patrimonio attuata con diverse leggi negli ultimi 45 anni. Vedremo nel tempo, ma non c’è dubbio che avere stabilito il principio della vendita a prezzi di mercato ed all’asta, ridurrà notevolmente la pressione sociale all’acquisto mentre le eventuali conseguenze della mobilità degli assegnatari, da casa a casa, non desterà l’interesse dei Comuni ad alienare gli alloggi. Stando infatti alle disposizioni di cui all’art. 37, al Comune spetta il compito di “prevedere opportune misure per la salvaguardia dei diritti degli assegnatari, che non intendano acquistare”.

Sul secondo punto vi è stata una battuta d’arresto rispetto all’impostazione della legge.

La contrarietà dei sindacati, i diversi orientamenti e pressioni delle forze politiche regionali, hanno portato ad un aumento dei canoni contenuto, pari al 20%, (a conti fatti si è ridotto al 15%), allontanando nel tempo la prospettiva dell’autofinanziamento dell’ERP, finalizzato, in primo luogo, a garantire i periodici interventi di manutenzione sul patrimonio esistente, a reperire risorse per il fondo affitti, ed eventualmente a finanziare la costruzione di nuovi alloggi.
Non bisogna infatti dimenticare che i canoni ERP erano fermi dal 1984 (legge regionale n°12/84 e successive modifiche), non soggetti neppure all’indicizzazione.
Per chiarire meglio il valore dell’autofinanziamento si tenga conto che la media annuale storica (1998-2003), degli interventi di manutenzione (pronto intervento e alloggi di risulta), realizzati nella provincia di Rimini, con i proventi dei canoni, ammonta per ogni alloggio ad € 330,00 (ma non è molto diversa la situazione nelle altre ACER della Regione), mentre sarebbe necessario almeno il doppio per coprire in modo adeguato il pronto intervento ed i lavori di adeguamento e ripristino degli alloggi di risulta; il quadruplo per programmare, in modo sistematico, interventi di manutenzione straordinaria: rifacimenti ed adeguamenti impiantistici, (elettrici e termoidraulici), tetti e pluviali, abbattimento delle barriere architettoniche, rifacimenti facciate, infissi, ecc..

Per essere più precisi ancora si tenga conto che la manualistica propone che, per gli interventi di manutenzione degli edifici e degli alloggi (pronto intervento, manutenzione straordinaria), siano accantonate risorse finanziarie annue pari al 3%, rispetto al valore dell’alloggio, rivalutato con l’indicizzazione annua. In questo contesto, secondo una stima convenzionale, si può stabilire un valore medio per alloggio di 48.000,00 euro (ma il costo reale, con i prezzi attuali, arriva ad almeno 80/85.000,00 euro, al netto del costo dell’area e degli oneri di urbanizzazione); pertanto si avrà una incidenza media per alloggio di 1.440,00 euro annui.

Per raggiungere questo obiettivo nel medio periodo (entro i prossimi cinque anni), sarebbe necessario portare i canoni di locazione dagli attuali 115,00 euro (media della provincia riminese, mentre quella regionale si attesta, a regime con i nuovi canoni sui 120,74 euro), ad una media mensile di 180,00 euro, compresi i costi di gestione. Tuttavia è vero che da Gennaio 2005 il potere decisionale passa ai Comuni ed ai Tavoli di concertazione provinciali, che possono, all’interno dei criteri di calcolo indicati dalla Regione, proporre un graduale incremento. Resta il fatto che il sistema di calcolo dei canoni, introdotto dal legislatore regionale, attribuisce in maniera differente il peso dell’elemento soggettivo (reddito) e dell’elemento oggettivo: coefficienti alfa e beta (ubicazione territoriale e caratteristiche tipologiche dell’alloggio). Infatti, l’elemento oggettivo incide solo sulle Aree dell’accesso e della permanenza, al contrario i coefficienti alfa e beta non incidono per nulla sulla Fascia di Protezione che nella provincia di Rimini raggiunge il 64,52% degli assegnatari. Ciò determina, senza dubbio, clamorose disparità di trattamento fra gli assegnatari della stessa Area d’accesso (per alcuni di essi non rileva in alcun modo la presenza di un alloggio nuovo o vecchio, dotato oppure no di pertinenze quali, ad esempio: garage, giardino, posto auto, cantina, condizioni di sottoaffollamento oppure sovraffollamento ecc.). Al contrario, nell’Area della permanenza vengono considerati solo i coefficienti oggettivi alfa e beta e non i redditi, se non solo quale limite massimo per la permanenza nell’ERP.

Sarebbe auspicabile, pertanto, una modifica delle disposizioni regionali con l’inserimento dei coefficienti alfa e beta per tutte le Fasce, compresa quella della protezione. Non va dimenticato che in questa fascia il canone massimo arriva a 75 euro mensili.

Occorre precisare, inoltre, che alcuni provvedimenti regionali, quali in particolare la deliberazione n° 395/2002 e n° 40/2004, non aiutano il cammino verso una maggiore equità nonché un maggiore rigore e severità nei confronti di coloro che non possiedono più i requisiti di reddito per la permanenza negli alloggi di ERP, con danno di quanti sono collocati utilmente nelle graduatorie comunali, in attesa di assegnazione.

I provvedimenti in questione istituiscono, infatti, una nuova fascia di assegnatari cosiddetti “decaduti virtuali”, poiché prevedono che, in sede di verifica della permanenza dei requisiti per l’ERP, i valori ISE ed ISEE per i nuclei familiari vengano ridefiniti attraverso la detrazione del 50% della componente derivante dal patrimonio mobiliare, come definito dall’ISP (Indicatore della situazione patrimoniale). Pertanto, è stata istituita una fascia di assegnatari, i quali pagano un canone elevato, in quanto sarebbero in teoria privi del requisito reddituale, ma che, stante la citata detrazione pari al 50%, non potranno essere dichiarati decaduti dai competenti organi comunali.

Senza contare che la deliberazione n° 327/2002 ha stabilito una diminuzione del 20% del valore ISEE per i nuclei con presenza di solo reddito da lavoro dipendente e per i nuclei con la presenza di persone con più di 65 anni e con reddito da sola pensione.
Occorre ancora aggiungere che alcune tipologie reddituali, a norma del D.Lgs 109/98 e successive modifiche, risultano “invisibili” ai fini, ISE ed ISEE, tra i quali le pensioni sociali, (al contrario la pensione minima, talvolta inferiore a quella sociale, viene rilevata), le pensioni di invalidità, l’indennità di accompagnamento che, in molti casi, raggiungono importi elevati e consentirebbero ai titolari degli stessi di corrispondere un canone adeguato, generando così ulteriori sperequazioni che si traducono in un accumulo di prestazioni sociali: da un lato l’esenzione del reddito ai fini fiscali, che viene “spesa” sull’insieme delle offerte socio-assistenziali e dall’altro un ulteriore sconto sul costo dell’affitto (già in partenza al di sotto dei prezzi di mercato del 70/80%), che fa scivolare questi utenti nell’area del puro assistenzialismo, poiché i canoni minimi, assolutamente simbolici, di 25/30 € al mese, non coprono neppure i costi di gestione.

Di nuovo, anche su questo punto, la Regione dovrebbe adattare l’ISE-ISEE alle caratteristiche proprie dell’ERP, utilizzando gli spazi consentiti dalla stessa legge 109/98 e 130/00. La riforma del capitolo V della Costituzione inoltre delega alle Regioni le competenze in materie sociali con potestà legislativa esclusiva; pertanto anche il cosiddetto “riccometro” o meglio l’ indicatore ISE-ISEE può essere adattato alle singole realtà territoriali ed al tipo di prestazioni sociali offerte. In Val d’Aosta per es. è stato inserito l’IRSEE che comprende nel calcolo dei redditi anche le rendite INAIL (invalidità) e l’indennità di accompagnamento.
Sarebbe inoltre auspicabile l’applicazione dell’indicizzazione, almeno per i canoni che restano invariati o subiscono una diminuzione, come è previsto in altre Regioni d’Italia (Friuli Venezia Giulia).

Alla luce di quanto sopra esposto, corre l’obbligo di sottolineare l’esigenza concreta di ridurre l’area dell’assistenzialismo a prescindere (è noto che i Comuni hanno l’ulteriore facoltà di esonerare parzialmente e/o del tutto alcuni nuclei familiari, in difficoltà, dal pagamento del canone di locazione), garantendo così (esenzione e/o applicazione del canone minimo), solo i casi strettamente sociali, seguiti ed in carico ai Servizi Socio-sanitari. Per il resto, occorre conciliare la funzione sociale dell’ERP con il nuovo criterio, introdotto dalla legge regionale, dell’autofinanziamento.
Non è forse altrettanto necessario garantire agli assegnatari idonei standard abitativi in termini di sicurezza impiantistica e di migliore vivibilità, attraverso interventi di manutenzione sul patrimonio esistente! Gli stessi assegnatari richiedono in modo sempre più pressante interventi di manutenzione e ne lamentano l’insufficienza.
Per quanto riguarda il terzo aspetto, relativo alla trasformazione degli IACP in Enti pubblici Economici (ACER), ed alla separazione tra proprietà e gestione degli alloggi pubblici, la riforma ha inciso di più. Si tratta del naturale esito di un processo di decentramento amministrativo ed una divisione dei poteri volta a garantire alle comunità locali maggiore efficienza ed economicità nell’erogazione dei servizi, che ha avuto inizio negli anni ‘70.
Corre tuttavia l’obbligo di osservare che, nella maggior parte delle Regioni d’Italia, dove sono state introdotte riforme dell’ERP e degli IACP ( Lombardia, Piemonte, Veneto, Liguria, Trentino Alto Adige), si sono scelte strade diverse, che non hanno privato gli ex IACP della proprietà dell’ERP, limitandosi a trasformarli in Aziende ed ampliandone il raggio d’azione.

In altre realtà ancora (Toscana), pur separando la titolarità del patrimonio e trasformando gradatamente gli ex IACP in SPA, i Comuni hanno l’obbligo di conferire in gestione, alla propria Azienda provinciale, tutto il patrimonio di ERP. Per non parlare dell’Umbria che recentemente ha stabilito di lasciare in capo agli ex IACP la proprietà del patrimonio ERP, già in loro possesso, ed ha reso obbligatorio per i Comuni conferire i propri alloggi in gestione agli ex IACP, con l’esplicito obiettivo di assicurare così il principio di uguaglianza delle prestazioni sociali, ed una gestione unitaria ed omogenea su tutto il territorio regionale.

Fra tutti questi modelli sperimentati il nostro appare francamente il più debole poiché espone l’ERP, sino a ieri gestita in forma unitaria, sia su scala regionale che provinciale, al rischio concreto di una disgregazione e frammentazione.

A tale proposito, ci sentiamo in dovere di segnalare i punti della legge dai quali emerge in tutta evidenza la criticità di un impianto legislativo-istituzionale che, affidando a ciascun Comune separatamente la potestà di decidere su tutti gli aspetti, sia regolamentari che tecnico-gestionali dell’ERP, confonde i piani, indebolisce la separazione funzionale fra Ente proprietario ed Ente Gestore e rischia di creare una diversificazione di trattamenti, sempre più accentuata, fra gli utenti, sia in materia di accesso all’ERP ( modalità di assegnazioni e determinazione dei punteggi, graduatorie aperte o chiuse, determinazione dei canoni, oneri manutentivi, trattamento ospiti, mobilità da casa a casa, ecc.).
Avere conferito al tavolo di concertazione provinciale (art.5), il ruolo di collante e coordinamento, ben poco rileva in quanto lo stesso non ha alcun potere cogente.
Pertanto, pur operando con spirito di servizio, ma inevitabilmente in una logica volontaristica, la Provincia non è in grado di garantire eguali trattamenti su tutto il territorio provinciale.

In realtà l’unica cosa certa attribuita alle Province è la funzione di Osservatorio del fenomeno abitativo, mentre per il resto siamo alla perorazione di un ruolo illuministico: tenere insieme con la ragione, la razionalità e garantire con il buon senso una omogeneità di trattamenti nonché una gestione unitaria dell’ERP.
Il quadro generale appare comunque preoccupante poiché ci troviamo di fronte ad interlocutori politici ed istituzionali molte volte senza esperienza in materia di ERP, sovente animati dalla sola volontà di affermare un proprio potere decisionale; spinti e stimolati da evidenti esigenze di visibilità e promozione del consenso, a cui si aggiunge l’ambizione personale di qualche Dirigente e funzionario che ritiene di avere trovato un occasione per fare carriera, magari attraverso il potenziamento del proprio ufficio casa e l’assorbimento di funzioni gestionali fino ad oggi proprie degli ex IACP oggi ACER. Talvolta, convinti di avere trovato una fonte di entrate da utilizzare per le più svariate esigenze ed attività della propria Amministrazione.

Le difficoltà registrate nei diversi ambiti territoriali provinciali per siglare le convenzioni ed i contratti di servizio stanno tutte qui, in una interferenza politica ed Amministrativa che non ha nulla a che fare con le politiche abitative, nè tanto meno con le esigenze operative e gestionali che occorre garantire all’ERP. I costi gestionali che sono in grado di assicurare le ACER per l’oggi ed in futuro sono infinitamente più bassi di quanto gli stessi Comuni sarebbero in grado di garantirsi se dovessero scegliere una gestione in economia del servizio casa, senza contare che la professionalità e l’esperienza non si improvvisa né si conquista in poche stagioni.
La disomogeneità e frammentazione dell’ERP può comportare gravi situazioni di disuguaglianza tra categorie di cittadini ai quali dovrebbe essere garantito un trattamento paritario trovandosi nelle medesime condizioni.
Il potere, riconosciuto dalla legge regionale, a ciascun Comune di regolamentare autonomamente la materia dell’ERP e di determinare i canoni di locazione, al di fuori di un principio di omogeneità cogente, ha prodotto, accanto agli effetti già descritti, il venir meno del principio di mutua solidarietà, tra i Comuni, nella distribuzione delle risorse finanziarie, destinate alla manutenzione del patrimonio esistente. Una lampante dimostrazione la riscontriamo proprio nella realtà riminese, ove l’ACER, consapevole delle forti disparità che si sarebbero venute a creare tra i Comuni nella distribuzione delle risorse finanziarie, destinate alla manutenzione ordinaria ed al ripristino degli immobili, (fino a ieri garantita dagli IACP), ha proposto alla Conferenza degli Enti la costituzione di un Fondo di solidarietà da utilizzarsi per garantire la manutenzione ordinaria ai Comuni che non siano in grado di farvi fronte con i proventi dei canoni di locazione.

La proposta è stata per il momento rinviata sine die, la ragione principale per cui diversi Comuni della provincia, soprattutto il Comune capoluogo, sono refrattari ad accogliere il principio solidaristico nella distribuzione delle risorse destinate alla manutenzione ordinaria, risiede ancora una volta nella forte impronta autonomista data alle Amministrazioni Comunali dalla legge regionale. Ogni Comune gestisce il proprio territorio e si occupa delle problematiche che lo riguardano, non ritenendo di mettere a disposizione proprie risorse finanziarie, tra l’altro non ingenti, visti gli importi dei canoni incassati, a favore di altre realtà comunali che si trovano in situazioni di maggiore difficoltà.

Tutto ciò, non dimentichiamolo, si ripercuote sugli utenti finali, ossia gli assegnatari; così avremo utenti di ERP di serie A, ai quali saranno garantiti interventi manutentivi, atti a creare le condizioni di migliore vivibilità e di maggiore sicurezza; altri assegnatari, di serie B, al contrario saranno costretti, per mancanza di risorse finanziarie adeguate, a vivere in immobili degradati e poco sicuri.
Sarebbe a questo punto necessario rivedere i compiti e le funzioni attribuite alle Province, dalla legge Regionale 24/2001, a cui andrebbero assegnate funzioni decisionali cogenti in materia di canoni e di regolamenti, da esercitare attraverso il Tavolo di Concertazione con i Comuni; solo così si potrebbe ricomporre una gestione ed un governo unitario dell’ERP.
I Comuni quindi non dovrebbero più agire singolarmente ma solo in forma associata.

Un ulteriore paradosso della legge regionale lo troviamo all’art.25, comma 9, laddove si prevede che le opere di miglioramento realizzate dall’assegnatario, con il consenso del Comune o del soggetto Gestore danno diritto ad indennizzo all’atto del rilascio dell’alloggio. Talvolta, alla luce di queste macroscopiche contraddizioni si ha l’impressione che i tecnici che hanno istruito la legge siano completamente estranei alla realtà dell’ERP. Che abbiano in mente modelli teorici astratti (la privatizzazione e la concorrenza, il decentramento e la centralizzazione, lo stato sociale e l’assistenzialismo), che se non vengono coniugati nel contesto storico e sociale dato, rischiano, come nel nostro caso di produrre dei “mostri”. Usano infatti sovente le categorie del codice civile, modellate sul mercato privato della locazione, che peraltro prevede, come nel caso in questione, la derogabilità delle norme sulle migliorie, stabilendo una obbligatorietà che mal si concilia con la particolarità dell’ERP ed i canoni incassati, che, non possiamo dimenticare hanno una media regionale di soli 120 euro mensili!

L’unico risultato certo, prodotto dalla legge 24/01 e successive modifiche, è il trasferimento della proprietà del patrimonio di ERP ai Comuni e la trasformazione degli IACP (Enti Pubblici Autonomi), in ACER, Enti Pubblici Economici, finalizzata a criteri di efficienza ed economicità. L’implementazione di questo processo ha comportato un’ attività di autoriforma che ha assorbito notevoli risorse umane, organizzative ed economiche: basti pensare alla certificazione di qualità, alla certificazione dei bilanci, alla redazione della perizia dell’estimatore, nominato dal tribunale per la valutazione del patrimonio non ERP. A ciò si aggiungono le complesse procedure per la realizzazione del passaggio del patrimonio ai Comuni con conseguenti atti di trasferimento e volturazioni catastali ecc. Senza contare la bizzarra disposizione di dover pagare tre sindaci revisori supplenti, mai presenti alle sedute del Consiglio di Amministrazione, uno scherzetto che è già costato 11.800,05 euro e che ha un costo annuo medio di 4.425,02. euro.

Si è determinato, così, in conseguenza della legge di riforma un notevole appesantimento delle procedure burocratiche (il ricorso a convenzionamenti per ogni attività, una esasperata sequenza di procedure formali, fra Regione Comuni, tavoli provinciali per ogni aspetto delle molteplici attività svolte, rendicontazioni continue, controlli infiniti, spesso inutili e ripetitivi), un notevole aumento delle spese generali degli enti trasformati, alcune delle quali saranno una voce permanente nel bilancio aziendale. Per inciso, sino ad oggi i costi della riforma sostenuti dall’ACER di Rimini (spese vive), ammontano ad euro 130.601,22, con un costo annuo medio permanente pari ad euro 21,925,02, ma sono molti di più se si considerano i costi generali: personale e organizzazione. A questi costi dovranno essere aggiunti quelli per il passaggio del patrimonio.

Certo la vicinanza a criteri aziendali ed ai parametri che regolano le attività economiche delle società private è sicuramente utile per ridefinire un ruolo ed una funzione più dinamica ed al passo con i tempi, per sviluppare ed accrescere le opportunità offerte dal mercato e dallo stesso sistema pubblico istituzionale (leggi patrimoni non ERP), per avviare attività imprenditoriali in settori tradizionali e di confine: irrobustire il sistema operativo per il pronto intervento e le manutenzioni, rispetto alle nuove costruzioni; le amministrazioni condominiali; le agenzie per la locazione; la costruzione per la vendita; la gestione del patrimonio pubblico non residenziale.

Ma non si può dimenticare che le ACER sono solo gli strumenti operativi e non il fine delle politiche abitative. Se questo è l’orizzonte entro cui collocare la nuova mission degli ex IACP, oggi ACER, non si può ignorare il fatto che il legislatore regionale abbia in realtà previsto un percorso pesante, con un periodo transitorio inadeguato e, dopo averle previste nella legge di riforma, abbia reso più difficile il processo di trasformazione ostacolando la costituzione ed il decollo delle società di scopo, dando spazio alle obiezioni delle imprese e società private che hanno visto, in questa possibilità, il rischio di un nuovo concorrente.

Le delibere regionali con le quali sono stati attribuiti i finanziamenti per le nuove costruzioni e le manutenzioni non hanno previsto la possibilità di erogare alle ACER i finanziamenti nè tanto meno alle loro Società di Scopo. Per la locazione permanente possono accedere solo i Comuni, le onlus, gli operatori privati e le cooperative, mentre per la locazione a termine solo le Cooperative, gli operatori privati e le onlus. Cos’ anche per la proprietà. Le ACER concorrono solo a valle del processo, attraverso la convenzione con i Comuni.

Ci troviamo quindi di fronte al paradosso di una legge Regionale che da un lato prevede la possibilità e non la obbligatorietà dell’affidamento in gestione dell’ERP e di contro la costituzione di Società di Scopo, per permettere così alle ACER di concorrere ai finanziamenti regionali sulle politiche abitative, per diverse tipologie d’intervento, e dall’altro la stessa Regione, tramite l’Assessorato, nega questa possibilità escludendo regolarmente le stesse dai finanziamenti, attraverso il meccanismo estremamente rigido dell’accreditamento.

Si tratta di un fatto grave di discriminazione, che lede i principi della par conditio e della concorrenza.

La decantata valorizzazione delle ACER quali operatori pubblici che avrebbero dovuto rinnovare, in un contesto socio-economico mutato, la positiva esperienza degli IACP con un impegno autonomo in direzione del mercato immobiliare, pubblico e privato, dalla locazione permanente alla proprietà differita, ecc., ha lasciato il posto ad un atteggiamento inspiegabilmente discriminatorio improntato alla manifesta volontà di marginalizzazione del ruolo delle ACER, nel contesto delle politiche abitative della Regione.
Sembra di cogliere in ciò il cascame di una cultura politico-amministrativa che ha avuto fortuna negli anni 80/90, quando sull’onda di un certo neo liberismo economico si è ritenuto di affidare le sorti e progressive della questione abitativa al mercato ed al dinamismo imprenditoriale degli operatori privati.

E’ probabile che ciò corrisponda all’idea ancora in auge nel 2000/2001, (che ha sicuramente segnato la L.24), che tutto sommato il problema casa, in una Regione oramai prossima al 75% di famiglie proprietarie del proprio alloggio, si riduceva ad un esigenza puramente gestionale: maggiore mobilità e turn-over del patrimonio pubblico esistente, sufficiente a fare fronte a quella quota di povertà e marginalità sociale, fisiologica di una società affluente ed economicamente matura.
Si tratta come è del tutto evidente di una valutazione errata, segnata da un certo positivismo e determinismo economico che ha ormai lasciato il posto ad una più realistica consapevolezza sulla nuova cifra del disagio abitativo a cui concorrono due elementi fondamentali: gli alti costi del mercato immobiliare ed il fenomeno immigratorio.

A questo punto del periodo transitorio ci sono, con tutta evidenza, elementi sufficienti per avviare nella nuova legislatura una riflessione a tutto tondo e correggere la rotta, onde evitare che la “nave ERP si vada ad incagliare sugli scogli”. Infatti, il rischio, dai costi sociali ed economici enormi, che la disgregazione della gestione ERP così come la disomogeneità dei trattamenti, da Comune a Comune, possa costituire il nuovo profilo di governo dell’edilizia residenziale pubblica, è tale da richiamare ognuno di noi ad uno scatto d’orgoglio e dignità perché si possa porvi rimedio. In realtà, occorre mettere mano all’art. 41, comma 2, della legge 24/01 e successive modifiche, trasformando il verbo possono con il verbo devono, cosa possibile alla luce delle recenti modifiche introdotte alla disciplina sui servizi pubblici locali. D’altra parte, come è già stato chiarito, gli Enti Locali possono gestire servizi pubblici in house e quindi con conferimento diretto ad Enti, quali le ACER, di proprietà interamente pubblica, che la stessa legge regionale definisce, all’art. 41, Enti strumentali (anche se poi contraddittoriamente dà ai Comuni la facoltà e non l’obbligo di avvalersi delle Aziende Casa), non esiste infatti alcun obbligo di ricorrere a gara pubblica.

Prevedere la proroga del periodo transitorio alle ACER, per eguale periodo (4 anni, art 52), garantendo così un tempo certo e credibile al percorso imprenditoriale delle ACER, onde evitare proprio quella disgregazione e frammentazione, con conseguente disomogeneità di trattamenti, che si sta verificando nelle diverse realtà provinciali e comunali. La conferma degli attuali ambiti territoriali provinciali, lasciando all’autonomia delle Province e dei Comuni il compito di definirne, eventualmente, altri di diversa dimensione. (art.52. 2°comma della legge regionale).

In questo quadro è sinceramente avvilente constatare che si parla d’altro, piuttosto che affrontare le serie problematiche relative all’attività di gestione: i canoni ERP, i regolamenti, i rapporti con il quadro legislativo regionale e con i Comuni, che propongono procedure e percorsi nuovi in relazione alla trasformazione in atto, si continuano a presentare scenari futuri assolutamente fuori misura e fuori tempo, quale è quello delle SPA e dei nuovi ambiti.

Le ACER devono riconquistare ciò che sino a ieri era oggetto del proprio lavoro, senza questa certezza ogni altra meta appare aleatoria e del tutto priva di fondamento. Per rendere meglio l’idea è come se si assistesse al paradosso di un terremotato che invece di pensare ad un riparo si trastullasse a sognare la villa al mare o in montagna.

Domandiamoci con franchezza se davvero le difficoltà descritte possono essere superate con il ritorno sic et simpliciter al 2000, quando si discuteva sull’ipotesi Sandri di tre ACER Regionali. Intanto perché il destino delle Aziende Casa è ormai nelle mani delle Conferenze degli Enti e quindi dei Comuni e delle Province, ed appare poco probabile che la Regione ponga mano ad una ridefinizione degli ambiti territoriali a prescindere dalla volontà degli Enti Locali, ed inoltre perché l’approdo alle SPA (vedi l’esperienza della Toscana), non può che essere il risultato di un percorso ed un processo reale che metta in luce le differenze positive di questo assetto societario-aziendale rispetto a quello attuale.

Faccio notare che in Romagna nel 2000/2001 si sono fatti studi e progetti, speso denaro tempo e risorse umane per prefigurare una unità minima di servizi fra più ACER: servizio appalti, servizi tecnici per le nuove costruzioni, servizio informatico, ecc. Ma alla fine si è dovuto prendere atto che, mentre c’era chi era disposto a cedere una parte della propria sovranità ed autonomia, altri erano propensi solo ad acquisire servizi, redditività e convenzioni e lanciarsi in una politica di conquista e spoliazione. Vedo con rammarico che questo vizio non è cessato.

La discussione in corso, sugli ambiti territoriali ottimali (art. 52-2° comma) e sulla ulteriore evoluzione delle stesse, da Enti Economici in SPA appare confusa e fuori contesto. Intanto non si comprende quale sia il valore aggiunto di una SPA rispetto all’attuale assetto, cosa può fare l’uno e non possa fare l’altra o viceversa, visto che per quanto riguarda le attività imprenditoriali non previste per le ACER è comunque sempre possibile operare con società di scopo. D’altra parte, come è già stato chiarito, gli Enti Locali possono gestire in house e quindi con conferimento diretto del patrimonio ERP, non esiste infatti alcun obbligo di gara.

L’idea poi che le ACER siano trattenute nelle loro potenzialità di crescita dalla limitazione provinciale della propria operatività è nel migliore dei casi una suggestione. Intanto perché, come è evidente, va riconquistata per ciascuna Azienda la gestione dell’ERP ma soprattutto perché, a parte il gran parlare, non sono stati fatti, salvo piccole ed ancora parziali eccezioni, passi avanti sulla implementazione di nuovi settori di attività. Ognuno di Noi era infatti impegnato a rimettere a punto la macchina ed il motore, al massimo è stato fatto qualche giro di prova, ma nessuno si è messo davvero in viaggio.

C’è infine un elemento più di fondo che a ben guardare costituisce il vero spartiacque fra le diverse opzioni in campo. Il core-business delle ACER è rivolto alla gestione del patrimonio ERP, comparto assistito da interventi sociali pubblici, i canoni sono decisi dalla Regione e dai Comuni. Tutt’altra cosa rispetto ai servizi pubblici locali, ormai accorpati in grandi società di gestione come Hera, i quali possono agire, con un certo automatismo, sul sistema tariffario per fare fronte all’aumento dei costi.

La parte “nobile” del ragionamento che motiva l’esigenza di nuovi ambiti territoriali e delle SPA sembra costituita dalla convinzione, sempre valida, che così si fa massa critica, si determinano delle economie di scala che possono portare, in un sistema rigido che ricorre con difficoltà all’aumento dei canoni, ad una riduzione dei costi di gestione e dei massimali prestazionali previsti dalla Regione. Ma anche qui qual’ è davvero la giusta misura se come appare chiaro sembrano risultare cari, per i diversi interlocutori istituzionali, sia i costi di Bologna (37 euro), sia quelli di Ravenna o Forlì (47 euro), sia quelli di Modena, Ferrara e Reggio Emilia (44 euro) che quelli di Rimini e Piacenza (52 euro) ? Siamo poi così sicuri che i Comuni siano disposti a delocalizzare e tecnicizzare al massimo la gestione dell’ERP rinunciando agli indubbi vantaggi che possono conseguire con una presenza diretta sul proprio territorio che, insisto, ha nelle prestazioni un forte contenuto sociale?
Anche per quanto riguarda i massimali di costo prestazionali credo sia più realistico ipotizzare due sole fasce: da un lato l’ACER di Bologna con i suoi 18.000 alloggi e dall’altro le altre ACER provinciali con un diverso ed unico parametro. Si può andare in questa direzione dal 2006 agendo sul risparmio fiscale, ottenuto con il passaggio del patrimonio e con l’implementazione di servizi autonomi aggiuntivi, che rendano i bilanci meno dipendenti dalla sola gestione dell’ERP.

Sull’ultimo punto, degli obiettivi della riforma, stiamo già verificando il poco interesse degli operatori privati alla realizzazione di abitazioni in locazione permanente, destinate senza limite di tempo alla locazione e all’assegnazione in godimento. La legge regionale 24/2001 e successive modifiche, agli artt. 12 e seguenti, stabilisce, infatti, la concessione, anche agli operatori privati dei contributi diretti a promuovere il recupero e la realizzazione: a) di abitazioni in locazione permanente, b) di abitazioni in locazione a termine.

La realizzazione di abitazioni destinate alla locazione, a canoni calmierati, non attira gli operatori privati, che ritengono l’investimento ad alto rischio (morosità), poco remunerativo ed interessante. Le opportunità, ancora presenti, di costruire per la vendita, attirano la grande parte delle risorse degli operatori immobiliari. Del resto è noto che il mercato privato dell’affitto è costituito in grande parte da piccoli proprietari, che hanno riposto nella seconda o terza casa un esigenza familiare e/o d’investimento rifugio.
Dobbiamo essere consapevoli che solo il pubblico, con le sue risorse umane, strumentali ed economiche, è in grado di fornire quella risposta ai cittadini, in stato di disagio abitativo, che il privato non è in grado di dare.
Occorre riconoscere che la Regione Emilia-Romagna si è adoperata al massimo per sbloccare i finanziamenti di cui alla legge 21/2001, denominata “20.000” alloggi in locazione permettendo così la realizzazione di 1.800 alloggi; così come l’importante impegno finanziario stabilito recentemente con l’approvazione della delibera di indirizzo per la realizzazione di altri 3.000 alloggi su tutto il territorio regionale. I fenomeni sociali in movimento, in particolare quello legato alla immigrazione ripropongono con rinnovata urgenza la questione delle abitazioni che deve trovare un adeguato impegno da parte di tutte le istituzioni e gli operatori del settore. In questo contesto le ACER sono un anello importante per l’attuazione delle politiche abitative.

Non occorre andare molto lontano dall’Italia per comprendere meglio le considerazioni appena fatte; i nostri cugini d’oltralpe, i francesi, hanno un sistema di enti pubblici locali che garantiscono una risposta forte ed esauriente al problema casa. Senza contare l’attenzione posta dallo Stato centrale al settore dell’ERP, mediante l’erogazione continua di risorse finanziarie destinate alla costruzione di nuovi alloggi pubblici.
Non da ultimo, corre l’obbligo di sottolineare che in Francia, come in altri paesi europei, non si verifica il fenomeno tutto italiano della corsa alla proprietà; la maggior parte della popolazione vive in abitazioni in affitto tra cui molti in alloggi di ERP.
Basti pensare che, in Francia, sono 4 milioni gli alloggi in locazione gestiti dai vari organismi pubblici; circa 10 milioni di persone vivono in alloggi di edilizia sociale, gestiti dalle Opac; sono circa 450.000 le famiglie che ogni anno accedono ad un alloggio di edilizia sociale, il 6% dell’intera popolazione francese; 290 sono gli Istituti di edilizia sociale di cui 108 si occupano di recupero e di nuova costruzione (Opac); 304 le imprese pubbliche operanti nel campo dell’edilizia; 65 società di credito immobiliare e 20 filiali finanziarie; 160 cooperative per l’alloggio sociale.
Questi numeri ci inducono a riflettere sull’importanza di mantenere un settore delicato, come quello della casa, nelle mani di Enti e/o organismi pubblici. E pensare che la Francia, all’atto di costituire gli Istituti di edilizia sociale, ha studiato gli IACP e l’esperienza INA casa, si è basata sui nostri modelli istituzionali per creare le Opac! E’ proprio vero che l’alunno poi supera il maestro, cosi come nemo profeta in patria!


Autore
Franco Carboni – Presidente dell’ACER di Rimini
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Pubblicata il: 17/03/2005