Dal recupero, per fini abitativi, di 50/60 alberghi dimessi si possono ricavare almeno 1.000 alloggi da affittare a canone calmierato.


Articolo pubblicato su “Chiamami Citta” nr ° 03 del 16/12/2008



Martedì 16 dicembre 2008.  Colgo l’occasione della Variante Alberghi ormai giunta al traguardo, per sottoporre all’attenzione degli attori politici ed istituzionali e degli organismi sociali della città una riflessione che l’Azienda Casa sta facendo in relazione all’emergenza abitativa ed all’urgenza di rispondere, con fatti concreti, ad una domanda di alloggi a basso costo posta da migliaia di famiglie.
Nel corso degli ultimi anni, di forti cambiamenti, molte strutture ricettive si sono adeguate mettendosi al passo con le nuove domande di vacanza e tempo libero, nonché di turismo indotto dagli eventi e dalle attività fieristiche e congressuali. Sono infatti cresciuti gli alberghi a tre a quattro stelle, mentre sono uscite dal mercato pensioni ed alberghi a una o due stelle. Per dare un’idea della la grandezza del fenomeno e del processo di ristrutturazione in atto si tenga conto che negli anni dal 1999 al 2007 gli alberghi a 1 stella sono passati da 629 a 287, quelli a due stelle da 1.048 a 592, nel complesso queste strutture fornivano, nel 1987, il 77% dei posti letto rispetto al 25% del 2008. Tuttavia, al contrario di quanto si può pensare, i posti letti non si sono persi ma sono stati “ceduti” agli alberghi a tre e quattro stelle ed alle residenze turistico-alberghiere che nel frattempo sono aumentate secondo questo trend: i tre stelle sono passati - nello stesso arco temporale 1997/2007- da 847 a 1.182; i quattro stelle da 82 a 134; le residenze turistico alberghiere da 36 a 110. Infine nel complesso, alberghi e residenze turistiche erano 2.628 nel 2.000, nel 2007 risultano 2.287.
A riprova che la ristrutturazione in corso porta alla concentrazione più che alla perdita e dispersione della “capacità produttiva”, è utile accompagnare questi dati con quelli relativi agli arrivi e alle presenze turistiche che segnalano una situazione tutto sommato costante, anzi in leggera crescita. Nel corso dell’ultimo decennio avevamo infatti questo trend: 2.354.724 arrivi e 15.458.531 presenze nel 1.997; mentre nel 2007 gli arrivi erano 2.947.910 e le presenze 15.721.893. Questi dati ci permettono di affermare che l’allarme posto da alcune categorie sociali e fatto proprio dall’amministrazione comunale con la “variante alberghi”, circa il rischio che le residenze turistico-alberghiere e la trasformazione verso la residenza di una parte degli alberghi dismessi, possano mettere in crisi il “sistema”, ipotecando seriamente l’economia turistica riminese, è in realtà infondato.
Ma dove vanno a finire le strutture dismesse, qual è il loro futuro? Numerose di esse poste a monte della ferrovia hanno ricevuto una sorta di “buona uscita” urbanistica ma senza alcuna “contropartita sociale” per la collettività ed i Comuni.
Oggi però questo tema può essere affrontato in termini nuovi e con maggiore consapevolezza, purché cadano alcuni tabù. Il principale tabù è legato al turismo. Infatti alle strutture dismesse che si trovano a mare della ferrovia è stata attribuita, con la “variante alberghi”, solo la prospettiva di riqualificarsi come struttura ricettivo alberghiera e riprendere quindi a lavorare nel turismo, altrimenti si resta semplicemente inattivi.
Ora è del tutto evidente che i processi economici in corso, come tutti possono vedere, spingono in due direzioni, verso una ristrutturazione ed un rilancio dell’offerta turistica da parte degli operatori più dinamici ed economicamente dotati, mentre al contrario portano alla dismissione dell’attività altri che non hanno queste caratteristiche, che magari fanno un altro mestiere, che quindi non se la sentono di investire capitali in un settore a forte rischio d’impresa, con piccole strutture scarsamente competitive, magari in aree della città turistica di scarso pregio ed interesse. Si assiste anche qui, volenti o nolenti, a quella selezione naturale fisiologica in una economia di mercato, com’è avvenuto per il settore industriale-manifatturiero.
Noi riteniamo quindi che potrebbe essere presa in seria considerazione anche un altra ipotesi, la possibilità cioè che per ragioni di pubblico interesse, legate alle politiche abitative, sia consentito per un numero limitato di strutture (secondo i nostri calcoli da 50 a 60) selezionate con un bando pubblico sulla base di criteri rigorosi e chiari, indicando le aree del territorio dove è compatibile questo cambiamento, il recupero edilizio per fini residenziali.
Si potrebbero così - facendo ricorso al modello dell’edilizia convenzionata - immettere sul mercato almeno 1.000 alloggi bilocali e trilocali -le tipologie più richieste- a canone calmierato. Al tempo stesso la convenzione con il Comune dovrebbe prevedere l’obbligo della locazione per almeno 15 anni.
Con una operazione di questa natura si possono conseguire numerosi risultati:
 a) si attiva un processo di recupero edilizio importante senza aggiungere mattoni e sottrarre nuovo territorio;
 b) si qualificano aree della città esposte al degrado;
 c) si attiva un meccanismo economico virtuoso a costo zero per la città, poiché l’investimento è tutto a carico dei privati;
 d) si mettono sul mercato della locazione alloggi a canone calmierato per rispondere ad una domanda sociale pressante, fatta di famiglie che pagano affitti troppo alti e che sono a forte rischio di povertà.
È una opportunità che può essere colta da noi per la peculiarità del nostro territorio e la presenza di un ‘edilizia turistico-ricettiva che non ha eguali in Italia. Occorre però coraggio e sensibilità oltre a politiche di governance all’altezza della situazione, che non siano strabiche ed orientate solo alla monocoltura turistica, in grado di coniugare qualità, sviluppo ed equità sociale dando, dove è possibile, risposte dirette ed autonome ai nostri problemi, in un contesto qual’ è quello della casa che richiede iniziative urgenti e non più rinviabili.


Il Direttore di ACER Rimini
Franco Carboni

Pubblicata il: 16/12/2008