4. LA TENSIONE ABITATIVA E LA RIFORMA DEGLI IACP DELL'EMILIA ROMAGNA


"L'UNICA STRADA PERCORRIBILE È UNA NUOVA POLITICA ABITATIVA"



Il Presidente Carboni : "Gli istituti devono essere posti in grado di intervenire anche sulle fasce a rischio perché non diventino marginali". "Le recenti politiche regionali per la casa non hanno dato i risultati sperati. Occorre più spazio per gli Iacp provinciali e i Comuni per dare risposte alle fasce di cittadini a rischio di emarginazione che cercano un tetto in affitto". E' molto chiaro il pensiero del presidente dell'Istituto autonomo case popolari di Rimini Franco Carboni, nel fornire alla Regione Emilia Romagna spunti da seguire in vista della riforma delle politiche sociali legate alla casa in locazione a cui l'ente regionale sta lavorando da alcuni anni senza soluzione. Nel corso della conferenza organizzata da Iacp e Comune di Rimini lo scorso 13 ottobre alla Sala degli Archi di Rimini (presentata a pag 4) sono emersi dati preoccupanti sulla crescita della tensione sociale legata alle abitazioni, nel capoluogo e in provincia. Carboni, qual è la situazione nella provincia di Rimini? "Gli indicatori sono molto chiari. Il prezzo degli affitti è in costante aumento. A Rimini, per una famiglia di 3-4 persone, il costo si sta avvicinando a 1 milione al mese. Nel secondo semestre del 1999 sono state presentate 383 richieste di esecuzione di sfratto, soprattutto per morosità. Siamo ai livelli delle aree metropolitane dell'Emilia. Ai Comuni sono state presentate oltre 1000 domande (750 a Rimini) per l'assegnazione di case popolari e sono 1350 le famiglie che hanno fatto domanda al Fondo per l'affitto. La tensione abitativa sta crescendo e continuerà a farlo. Rimini dovrà sempre di più trovare risposte anche per giovani coppie, famiglie monoreddito, lavoratori in mobilità, immigrati e universitari". Di fronte a queste tensioni quali sono le risposte che l'Istituto è in grado di dare? "Lo Iacp di Rimini esiste dal 1997. Purtroppo la responsabilità della penalizzazione in cui abbiamo vissuto in precedenza, e che abbiamo ereditato, non è solo degli enti superiori. E' anche delle istituzioni locali, organizzazioni politiche e sociali riminesi che non sono state all'altezza della situazione, è mancato il gioco di squadra. Mancava uno Iacp a fare da ponte. Lo si è notato con l'attivazione del nostro Istituto. Abbiamo 2000 alloggi, rispetto ai 4600 di Forlì-Cesena. L'anno scorso ne abbiamo consegnati 24. Ne stiamo costruendo 114 e progettando 84 che verranno appaltati all'inizio del 2001. Cinquanta alloggi l'anno vengono recuperati dal patrimonio esistente per il turn-over. Con il ricavato della vendita di alloggi agli assegnatari crediamo di poterne costruire altri 100 entro la legislatura. Il rapporto con l'utenza è migliorato e riusciamo a fare manutenzioni ordinarie e straordinarie. Abbiamo recentemente approvato un piano triennale degli investimenti di 45 miliardi. Sono stati varati progetti innovativi a livello nazionale: il Contratto di Quartiere assieme al Comune di Rimini e i 400 alloggi a canone calmierato che secondo noi rappresentano una risposta efficace ed economica al problema della casa in affitto. Tutto questo da soli, visto quello che è successo con i Piani integrati varati l'anno scorso dalla Regione". Perché, cosa è accaduto? "Sono stati un insuccesso nei confronti delle fasce deboli che dovevano tutelare. Dei 120 miliardi disponibili per i piani di recupero urbano solo 3 sono arrivati a Rimini e tutti per le riqualificazioni urbane, niente all'edilizia residenziale pubblica. Durante la conferenza l'assessore regionale Rivola ha affermato che ce ne sono altri 40 da distribuire. Ci attiveremo con i Comuni per portarne un po' nella nostra provincia. Le proposte di certo non mancano. La legge regionale doveva coinvolgere i privati finanziando al 50% alloggi per l'affitto. Non ci sono state proposte perché i privati sono interessati alla vendita e non alla locazione. Noi nel nostro progetto per alloggi a canone concertato chiediamo alla Regione di contribuire solo per il 25%. E' chiaro a questo punto che solo il settore pubblico può fare interventi significativi in questo settore. La riforma regionale dovrebbe partire da questa constatazione". A proposito, la riforma regionale degli Iacp è ferma ormai dal luglio del '99. Si prospetta una nuova revisione, cosa ne pensa? "Indubbiamente è necessario un orientamento completamente diverso da quello espresso fino a oggi. Non si può continuare a pensare che il pubblico debba occuparsi solo della gestione. Perché i privati sul mercato della locazione sono assenti, il Fondo sociale durerà solo tre anni e il mercato concertato non funziona. Dobbiamo per prima cosa stabilire se il ruolo degli Iacp è ancora necessario e utile per le politiche della casa oppure no. Secondo me si, perché oltre a svolgere tutti i nostri compiti, contribuiamo anche per il 5% al Fondo sociale per l'affitto, all'osservatorio sugli scenari abitativi regionali e ci facciamo carico di una parte di morosità dei canoni. Lavoriamo tutti con bilanci in attivo, senza costi per la Regione e senza toccare una lira dalla vendita del patrimonio i cui proventi vengono tutti reinvestiti in costruzioni, recuperi e manutenzioni". Come vede gli Iacp del futuro? "Far diventare gli Iacp una Spa privata, che ragiona solo in termini di profitto, farebbe raddoppiare e triplicare i canoni e i costi li pagherebbero i comuni. Gli Iacp devono poter costruire e recuperare case non solo per le famiglie emarginate ma devono potersi anche occupare di immigrati, studenti e giovani coppie in difficoltà. Sono fasce a rischio e dobbiamo evitare che diventino marginali. Per poterlo fare gli Iacp devono diventare più dinamici, un ente economico pubblico". Quale riforma dunque? "La Regione dovrebbe consentire agli Iacp di avere più risorse per costruzioni e manutenzioni, dato che non ci saranno più finanziamenti nazionali, e un maggior ricambio negli alloggi. Oggi il canone medio è di 201.000 lire, con sole 100.000 lire in più al mese potremmo costruire 20 alloggi all'anno. Poi si dovrebbero rivedere le regole che consentono a familiari, ascendenti, discendenti e collaterali fino al terzo grado di ereditare l'alloggio, tra l'altro con un limite di reddito di ben 112.000.000, tre volte quello del limite per poter accedere a un alloggio Erp. Nondimeno mantenere una dimensione provinciale degli Iacp". Vuol dire che la presenza dello Iacp a Rimini è a rischio? Si torna al punto di partenza, come nel gioco dell'oca? "Non conosco su questo punto le opinioni dell'assessore regionale. Sento però parlare di masse critiche e ambiti ottimali. Il punto però è un altro: ha senso mettere gli Iacp sullo stesso piano di aziende di servizio pubbliche locali che gestiscono acqua, gas e rifiuti? Per esempio, i canoni che vengono pagati nelle case popolari non hanno come riferimento il valore dell'alloggio ma solo il reddito degli assegnatari. Si può forse pensare di poter superare questo riferimento? Mancano le basi materiali per impostare una riforma che punti a una sostanziale privatizzazione. A mio parere la riforma regionale dovrebbe coniugare due diverse, ma complementari, esigenze: da un lato far mantenere agli Istituti, sulle politiche abitative, una forte funzione sociale e di sussidiarietà nei confronti dei Comuni e dall'altro favorire una diversificazione e un arricchimento della tradizionale missione degli Iacp, mettendoli in condizione di conquistare nuovi spazi di attività e autofinanziamento. E' su queste prospettive che i quattro Iacp romagnoli stanno lavorando, senza escludere di mettere insieme alcuni servizi o di dare vita a società di scopo. Tutto questo senza rinunciare alla propria autonomia provinciale che rappresenta, almeno per noi, un valore aggiunto difficile da sostituire".

Numero 4, 3° edizione - anno 2000